CRITICA D´ARTE (GIAMPAOLO TROTTA)

Letizia Zombory: il surrealismo espressionista di una fiaba onirica veneziana

Colorista audace, narratrice sospesa fra il reale e il fiabesco, la pittrice olandese (ma che oramai vive e lavora in Italia) Letizia Zombory – un’equilibrista sul filo dei sogni, che abbandona la figurazione realistica e la prospettiva – ha una propria visione poetica ed intimistica che ignora il colore naturalistico, le leggi di gravità, i modi tradizionali di trattare lo spazio. Ma il mondo che ritrae non è puro miraggio: come direbbe Marc Chagall, “tutto il nostro mondo interiore è realtà, forse anche più reale del mondo apparente”. Il nostro mondo interiore, però, costituito da sogni, da desideri e da ricordi, con il tempo può sbiadire e dissolversi. È necessario, quindi, farlo uscire di tanto in tanto per prendere un po’ d’aria vitale. Le tele della Zombory, ricche di simboli e di personaggi fantastici, sono la storia della sua anima, provata da profondi drammi umani, ma mai morta alla vita. Le sue opere ci dimostrano che il mondo invisibile può diventare visibile grazie alla magia dei colori che cantano e danzano in assoluta libertà. L’universo che ella rappresenta non è banalmente realistico, ma neppure si discosta così tanto dalla realtà da non poter essere facilmente compreso anche dai non professionisti dell’arte. Le creature che si librano nei suoi quadri portano nel mondo di tutti i giorni la felicità e la dolcezza della poesia, nonché un certo grado di vellutata ironia e sono intrise del valore magico del mito (inteso etimologicamente come racconto, favola allegorica).
Le sue opere sono velatamente contrassegnate dal suo temperamento drammatico, ma riescono ad essere nel contempo poetiche e romantiche, leggere, accostando con maestria il verdeazzurro (che simboleggia la vita) e il nero (che rappresenta la negatività), come nel quadro Un pomeriggio di Carnevale, dalle indubbie assonanze (nel cielo, nelle acque e nella restituzione del Ponte di Rialto) con la tipica Venezia di Remo Brindisi.
La Zombory si pone al confine tra il Naïf, il Formale Espressivo ed il Surrealismo tramite un messaggio chiaro dell’immagine. Gioca costantemente con il colore e lo fonde, facendo emergere la sua personalità di donna libera. È sciolta nei suoi tratti grafici, la sua pennellata è istintiva e senza ripensamenti, portata verso un equilibrio personale.
Attratta dalle bellezze di Venezia, la raffigura con grande carisma, facendo sentire la sua pennellata espressionistica. Si fa suggestionare da ogni angolo della città e lo ritrae sempre con impeto, ma anche con grazia ed armonia. Introduce nella sua tavolozza gli azzurri, i neri, i grigi e i bianchi – ma anche i rosa e i gialli che donano vivacità ai suoi lavori – e li sovrappone creando una chiara trasparenza poetica, piena di emozioni; fasce cromatiche creano un’armonia intonata come una sinfonia, producono nuovi spazi fantastici al suono di un Rondò Veneziano. E, nella Venezia, il brulicare di figure in costumi settecenteschi di un suo magico carnevale, figure rese con piccole pennellate vibranti come desunte da un Neoimpressionismo puntinista di Paul Signac, di Hippolyte Petitjean o di Henri-Edmond Cross.
In queste rappresentazioni fantastiche costruisce mentalmente una realtà e arriva al sogno, proiettandovi la speranza, la vita stessa. L’espressionismo di Letizia Zombory è trattato con grazia, le sue opere si celano dietro ad una figurazione schietta per dare un’immagine gioiosa dell’universo che ci circonda.
Quadri velati di metafore, dove la Zombory gioca con lo spazio, con il suo inconscio innocente ed il suo linguaggio espressivo continua ad alternarsi fra immaginazione e realtà. Precisate le proprie direttive stilistiche, esse perdurano con costanza e le figure, le deformazioni morfologiche, che furono già tipiche del tardo fauve di André Derain, mantengono intatta la tensione onirica e la forza espressiva. Così, in Amore veneziano i due amanti – una sorta di rivisitazione delle Sirene – vedono i loro corpi tramutarsi in flessuose gondole, mentre sullo sfondo compare la schematizzazione di una basilica di san Marco. Lo stile della Zombory pare fortemente influenzato dalle opere di Paul Cézanne e Vincent Van Gogh, ma soprattutto di Marc Chagall (con i suoi personaggi surreali fluttuanti senza leggi di gravità) e, in parte, come si è detto, di Remo Brindisi col le sue Venezie. La sua pittura è misurata, luminosa, serena. Semplifica, però, la figura in modo meno antinaturalistico rispetto ai pittori fauve. I colori caldi e freddi sono accostati in modo molto contrastante, stesi con pennellate libere.
Le sue opere non riproducono realtà veneziane documentate come in un reportage fotografico, non riscontrano rassomiglianze puntualmente evidenti. Nessuna delle opere da lei dipinte ha caratteristiche compositive tali da farsi considerare come quasi un “ex voto”, oleografico “santino” urbano della città lagunare. La pittrice è realista per scelta del soggetto ed espressionista per esasperazione formale. Il realismo poetico si è tramutato naturalmente in espressionismo, rompendo con la narrazione illustrativa. Ragion per cui, una figurazione surreale ha preso il sopravvento imponendosi come cifra stilistica, come topos iconico. Le sue figure sono soprattutto delle proposte visive che scaturiscono da un lungo travaglio interiore. Ci pare di intuire che esse sono come “sotterraneamente” in movimento. Tutto è racconto, narrazione allegorica, simbolica, onirica. L’immagine non ha mai il colore reale, poiché ha le cromie dell’irrealtà; Letizia Zombory è una pittrice che dà corpo alle sue aspirazioni artistiche, cogliendo nell’intimità più recondita della sua natura ciò che in essa vive misteriosamente come arte e non lo manifesta mai aprioristicamente, poiché ogni cerebralismo è a lei estraneo. Non è possibile rilevare, nelle sue opere, tracce di rabbia, di alienazione, d’indignazione. In ogni sua opera Venezia viene riprodotta con i colori della fantasia, con i colori della decorazione. Le sue immagini umane, astrattamente simboliche, ci risultano date nel contesto di un paesaggio ben improntato dal punto di vista formale o compositivo per le oggettività che vi sono evidenziate e lo fanno riconoscere come icona universale (Venezia con i suoi celeberrimi monumenti). In particolare, il Palazzo Ducale, la chiesa ed il campanile di San Marco risultano stilizzati in Tutti vanno al Carnevale, dove da due porte o quadri surreali dalla cornice dorata escono una moltitudine di personaggi – resi sempre secondo le tecniche del puntinismo – che si avviano verso Piazza San Marco nel nitore monocromo del bianco, quasi sospendendo a mezz’aria la scena in una decontestualizzazione spaziale. Luce assoluta, la sintesi della luminosità lagunare tipica di tutta la pittura veneta, dove le cupole delle chiese veneziane giungono alla schematizzazione che fu di Virgilio Guidi nelle sue Venezie fatte appunto di d’aura luminosa. Surrealismo simbolico tutto proteso verso la Luce ricorrente anche nel felliniano Ritrovamento del sole perduto, una festa carnevalesca lungo i canali veneziani tra i vecchi palazzi patrizi (resi come architetture prebelliche della corrente di Novecento), nella quale la regina del Sole è adorata come Sorastro nel mozartiano Flauto Magico.
Nei suoi lavori, però, La Zombory si ispira anche alla vita popolare, come già Chagall (con o suoi paesaggi russi) e ancor prima Pieter Bruegel (con vedute dalla precisione lenticolare di ambientazioni contadine nordiche), e così nel suo Piazza San Marco sotto la neve pare di vedere una magica fiaba dipinta come una miniatura con il suo un caos brulicante di figure e la piazza veneziana, con le cupole della sua chiesa, sembra tramutarsi in una grande chiesa ortodossa o in una visione bizantino-orientaleggiante di Costantinopoli, riuscendoci a comunicare, nell’ovattato silenzio notturno pur popolato di presenze, felicità e ottimismo tramite la scelta di colori vivaci e brillanti.
Il mondo di Zombory è colorato, come se fosse visto attraverso la vetrata di una chiesa gotica; il suo mondo poetico si nutre di una fantasia che si richiama all’ingenuità infantile e alla fiaba, il colore rimanda ai Fauves. La semplicità delle forme la collega al Primitivismo, il tema del sogno surrealista a scene e fantasie popolari, le sue figure metafisiche trasfigurano la cronaca del presente secondo la simultaneità d´un sogno.

GIAMPAOLO TROTTA
Dott.Prof.Arch. Storico dell ´architettura e del territorio, CRITICO D´ARTE MODERNA E CONTEMPORANEA, STORICO DELL´ARTE, Membro dell International Council on Monuments and Sites PARIS